giovedì 8 ottobre 2020

L'AMORE PER L'AVVENTURA GENERA SCRITTORI... SANDOKAN E ALTRE STORIE su Mano Libera n. 170

Mano Libera n. 170, il bollettino di news edito dalla ANAFI appena uscito, ha voluto rendere partecipi i soci della mia ultima fatica,


dedicandomi l'ultima pagine delle news, che qui allego. Ringrazio pubblicamente gli amici e consoci dell'ANAFI e il suo Presidente...

sabato 3 ottobre 2020

SANDOKAN L'INTREPIDO. Presentazione e mia intervista su "Librinews" pubblicata il 2 Ottobre 2020

 

Sandokan l’intrepido e altri racconti: presentazione e intervista a Fabrizio Frosali

Anteprima dal libro "Sandokan l'intrepido e altri racconti" e cinque domande all'autore

Sandokan l’intrepido e altri racconti: presentazione e intervista a Fabrizio FrosaliSandokan l'intrepido e altri racconti
Edito da Fabrizio Frosali nel 2020 • Pagine: 116 • Compra su Amazon

Questa raccolta comprende tutti i racconti di Fabrizio Frosali premiati e pubblicati nel corso degli anni su antologie di differenti case editrici. Queste storie, tutte di tipo avventuroso/fantastico, intendono richiamare alla mente emozioni sepolte, ma mai dimenticate, di quando l’avventura aveva la A maiuscola. Non per niente il personaggio chiave di alcuni racconti è proprio Sandokan, la formidabile Tigre della Malesia, che dà anche il titolo alla raccolta in una storia inedita. Ma troviamo anche battaglie tra musulmani e templari guidati da Riccardo Cuor di Leone, predoni a difesa del loro tesoro montano, oasi lussureggianti e deserti infuocati, lame che si scontrano all’epoca di Cromwell, e una vampira mutaforma di Stokeriana memoria. Tutto questo e molto altro. Ogni racconto è preceduto da una nuova, breve prefazione, che serve ad inquadrare la storia relativa nel suo giusto contesto storico e ambientale. Edizione illustrata con alcune foto di proprietà dell’autore.

Un estratto dal libro scelto dall autore
L’uomo si risvegliò dallo svenimento con una sensazione orribile. Si sentiva tirare un braccio da qualcosa avvolto intorno al polso. Aprì gli occhi e fu terrorizzato dal non veder nulla. La testa gli doleva orribilmente e temette di esser diventato cieco. Ma la sensazione più tremenda fu quella di galleggiare nel vuoto, perché non sentiva sotto i piedi, né d’altronde sotto nessuna parte del corpo, la sensazione familiare che avvertiamo tutti, senza rendercene conto, del contatto con qualcosa. L’unico legame con la realtà, se così possiamo dire, era con l’oggetto che gli segava il polso. Poi gli otoliti nelle orecchie si stabilizzarono, restaurando il senso dell’equilibrio e infine lui capì la sua situazione: se non era cieco, voleva dire che si trovava in una stanza buia, senza il minimo spiraglio da cui trapelasse la luce e le altre sensazioni potevano spiegarsi dal fatto che molto probabilmente lui fluttuava in aria appeso da un polso. La domanda successiva che si pose fu: dove sono? Sì, perché lui non ricordava assolutamente nulla del perché si ritrovava in quella situazione e se è per questo, non avrebbe saputo nemmeno dire chi era. La sua amnesia era totale. Ragionò che il dolore alla testa era dovuto probabilmente a un colpo che aveva ricevuto e che gli aveva fatto perdere la memoria. Sperò che la cosa fosse momentanea e col pragmatismo che lo contraddistingueva, si mise a esaminare la sua situazione. La destra cui era attaccato a qualcosa gli si era intorpidita ma l’altra mano era libera e muovendola ebbe la piacevole soddisfazione di scoprire che una fune, quella cui il polso era attaccato, scendeva giù lungo il suo corpo davanti a lui. Muovendola sentì che la fine della corda strusciava sul terreno e dal  rumore giudicò che questo non fosse a grande distanza. Poi toccandosi la vita ebbe la piacevole sorpresa di trovare un cinturone con un revolver nella fondina e alla sinistra un fodero con dentro una scimitarra. Ragionò che almeno era armato e che pertanto forse non sarebbe stato difficile uscire da quella situazione. Aiutandosi con l’altra mano scoprì che quella a contatto con la fune non era legata  ma semplicemente retta da un anello  nella corda piegato a due che si poteva facilmente sfilare. A questo punto doveva decidere se salire o scendere, perché  ancora non vedeva assolutamente nulla e sarebbe stato propenso a salire, se non avesse udito in lontananza,  ma verso il basso, degli strani rumori come di qualcosa  che scivola sulle pietre e poi un urlo di donna.  La decisione il fato l’aveva presa per lui, per cui, sfilata la mano dall’anello, si mise a scivolare lungo la corda. In poco tempo arrivò a toccare il terreno, e subito si mise a frugarsi nelle vesti per  scoprire se aveva qualcosa per illuminare il luogo. Fu estremamente contento di ritrovare, nella fascia che gli cingeva la vita, una scatola di fiammiferi svedesi  oltre a delle strane fiale di cui al momento, data l’amnesia,  non ricordava a cosa potessero servire. Accese immediatamente un fiammifero e scoprì di ritrovarsi in una specie di cella in pietra da cui partiva un corridoio. Per terra c’erano alcuni  ciottoli e pensò che dovesse essere uno di questi che l’aveva colpito sulla testa, perché questa gli doleva e toccandosi scoprì anche un grosso bernoccolo. Se però la pietra era caduta o fosse stata lanciata da qualcuno, questo non poteva saperlo. La corda saliva in alto per sparire in una botola semiaperta nel soffitto lontano almeno una decina di metri. Ragionò che sarebbe potuto salire poi facilmente usando la corda, ma impellente era scoprire chi aveva gridato e perché. Usando con parsimonia i fiammiferi, proseguì quindi nel corridoio e fu fortunato a scoprire a un certo punto, una specie di recipiente in cui erano accatastate diverse torce pronte all’uso. Sembravano vecchissime, ma il legno non era umido e una di esse, prontamente accesa, sparse subito una chiara luce nell’ambiente. L’uomo proseguì ancora, attento a eventuali pericoli che potessero insorgere, perché dopo tutto la donna doveva aver gridato per qualcosa. Non si azzardò a chiamare per non rivelare anticipatamente la sua presenza. Percorse così qualche centinaio di metri, poi il corridoio si aprì in una rotonda da cui si dipartivano diversi cunicoli. Accanto ad ognuno di essi c’era una statua rozzamente scolpita ma con delle caratteristiche fisiche piuttosto evidenti…ne contò dieci di quelle sculture, e anche se lui non era un indiano, la sua cultura gli permise di riconoscere che rappresentavano i Mahavidya cioè i dieci aspetti di Adi Parashakti , tutte forme della dea Parvati. Si soffermò particolarmente davanti alla statua di Kali, perché vaghi ricordi affiorarono nella sua mente. Gli pareva di aver combattuto a lungo contro gli adepti di quella sanguinaria dea. Ma la cosa impellente era uscire da quei sotterranei e trovare chi aveva gridato. Qui c’era l’imbarazzo della scelta, e pertanto in mancanza di altre indicazioni, decise di agire metodicamente. Con una pietra contrassegnò il cunicolo da cui era venuto per facilmente ritrovarlo, poi prese il primo che si apriva a sinistra, quello che aveva accanto la statua della dea Tara. Proseguì per qualche decina di metri poi il suo sesto senso, che senz’altro doveva essere molto sviluppato, lo avvertì che qualcosa non andava. Le sue narici iniziarono a sentire un certo odore, che gli ricordava qualcosa da lui avvertito, non sapeva dove, ma sicuramente in un ambiente sotterraneo, molto simile a quello dove era ora. Poi, proseguendo, il fetore divenne quasi insopportabile, ma lui si sforzò di proseguire ancora per un po’. Dovette però dopo poco soffermarsi perché un abisso senza fondo si aprì davanti a lui e da quel luogo veniva la puzza che ammorbava l’aria. La profondità del pozzo doveva essere enorme, perché un sasso gettatovi dentro tardò molti secondi prima di restituire il rumore che fece cadendo sul fondo. Sembrava però che quest’apertura fosse recente, perché c’erano dei residui di muraglie ai margini della voragine. Era come se qualche forza ignota avesse spaccato l’apertura del pozzo e qualcosa ne fosse uscito, perché si vedevano dei graffi che dovevano essere recentissimi, in quanto la terra sottostante era chiara e non scurita dal tempo…
Intervista allo scrittore

Come è nata l’idea di questo libro?

L’idea del libro è nata dal fatto che in questi ultimi anni diverse case editrici hanno pubblicato i miei racconti. Ho pensato di raccoglierli insieme creando un’antologia, per soddisfare alcuni amici che mi avevano fatto richieste in tal senso e spinto dal fatto che le storie sono tutte di tipo avventuroso/fantastico, dunque la raccolta sarebbe risultata omogenea.

Quanto è stato difficile portarlo a termine?

Non è stato difficile riunire i racconti, ma questi, al tempo della prima edizione in varie antologie, a volte mi hanno creato problemi in quanto dovevo soddisfare richieste precise dell’editore. Per questo prima di ogni racconto ho scritto una breve introduzione per narrarne la genesi.

Quali sono i tuoi autori di riferimento?

I miei autori di riferimento sono principalmente tre, ma molti spunti li traggo anche dai loro imitatori: Emilio Salgari in primis, che mi ha accompagnato nella mia infanzia, poi Edgar Rice Burroughs, creatore tra l’altro di Tarzan e Robert Howard il cui personaggio più conosciuto è Conan il barbaro. Di essi possiedo l’intera produzione e una sterminata serie di apocrifi, libri scritti da epigoni, sullo stile dei loro maestri. Ho anche scritto al riguardo e ad esempio di Salgari ho messo in rete la più completa bibliografia salgariana dei pirati della Malesia e di quelli delle Antille, tra originali e apocrifi, ordinata non per ordine di edizione, ma in senso cronologico, secondo le avventure che capitano ai protagonisti dei cicli.

Dove vivi e dove hai vissuto in passato?

Salvo un breve periodo a Roma, ho sempre vissuto a Livorno. Amo moltissimo il mare e non credo potrei vivere bene in una città dell’entroterra.

Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?

I miei progetti futuri in campo letterario sono di poter scrivere ancora qualcosa con i personaggi Salgariani. Il libro di cui sopra è il mio terzo concernente Sandokan. Ho cercato di rinnovare il personaggio e togliergli quell’aria di vecchiume che può avere per molti. In “Sandokan nel continente scomparso” c’è una vena fantasy che porta i nostri nell’antica Lemuria, mentre in “Sandokan nel Nautilus di Nemo” ho fatto interagire i due massimi eroi di Salgari e Verne per osservare cosa ne veniva fuori. Un connubio cui molti forse avevano pensato (io ad esempio è da quando ero piccolo che immaginavo l’incontro) ma che nessuno finora aveva mai osato compiere. Per il futuro ho quasi completato un’opera top secret che svincolerà ancor di più il personaggio dalle pastoie ottocentesche cui è confinato.