Sandokan l'intrepido e altri racconti
Edito da Fabrizio Frosali nel 2020 • Pagine: 116 • Compra su Amazon
Questa
raccolta comprende tutti i racconti di Fabrizio Frosali premiati e
pubblicati nel corso degli anni su antologie di differenti case
editrici. Queste storie, tutte di tipo avventuroso/fantastico, intendono
richiamare alla mente emozioni sepolte, ma mai dimenticate, di quando
l’avventura aveva la A maiuscola. Non per niente il personaggio chiave
di alcuni racconti è proprio Sandokan, la formidabile Tigre della
Malesia, che dà anche il titolo alla raccolta in una storia inedita. Ma
troviamo anche battaglie tra musulmani e templari guidati da Riccardo
Cuor di Leone, predoni a difesa del loro tesoro montano, oasi
lussureggianti e deserti infuocati, lame che si scontrano all’epoca di
Cromwell, e una vampira mutaforma di Stokeriana memoria. Tutto questo e
molto altro. Ogni racconto è preceduto da una nuova, breve prefazione,
che serve ad inquadrare la storia relativa nel suo giusto contesto
storico e ambientale. Edizione illustrata con alcune foto di proprietà
dell’autore.
L’uomo
si risvegliò dallo svenimento con una sensazione orribile. Si sentiva
tirare un braccio da qualcosa avvolto intorno al polso. Aprì gli occhi e
fu terrorizzato dal non veder nulla. La testa gli doleva orribilmente e
temette di esser diventato cieco. Ma la sensazione più tremenda fu
quella di galleggiare nel vuoto, perché non sentiva sotto i piedi, né
d’altronde sotto nessuna parte del corpo, la sensazione familiare che
avvertiamo tutti, senza rendercene conto, del contatto con qualcosa.
L’unico legame con la realtà, se così possiamo dire, era con l’oggetto
che gli segava il polso. Poi gli otoliti nelle orecchie si
stabilizzarono, restaurando il senso dell’equilibrio e infine lui capì
la sua situazione: se non era cieco, voleva dire che si trovava in una
stanza buia, senza il minimo spiraglio da cui trapelasse la luce e le
altre sensazioni potevano spiegarsi dal fatto che molto probabilmente
lui fluttuava in aria appeso da un polso. La domanda successiva che si
pose fu: dove sono? Sì, perché lui non ricordava assolutamente nulla del
perché si ritrovava in quella situazione e se è per questo, non avrebbe
saputo nemmeno dire chi era. La sua amnesia era totale. Ragionò che il
dolore alla testa era dovuto probabilmente a un colpo che aveva ricevuto
e che gli aveva fatto perdere la memoria. Sperò che la cosa fosse
momentanea e col pragmatismo che lo contraddistingueva, si mise a
esaminare la sua situazione. La destra cui era attaccato a qualcosa gli
si era intorpidita ma l’altra mano era libera e muovendola ebbe la
piacevole soddisfazione di scoprire che una fune, quella cui il polso
era attaccato, scendeva giù lungo il suo corpo davanti a lui. Muovendola
sentì che la fine della corda strusciava sul terreno e dal rumore
giudicò che questo non fosse a grande distanza. Poi toccandosi la vita
ebbe la piacevole sorpresa di trovare un cinturone con un revolver nella
fondina e alla sinistra un fodero con dentro una scimitarra. Ragionò
che almeno era armato e che pertanto forse non sarebbe stato difficile
uscire da quella situazione. Aiutandosi con l’altra mano scoprì che
quella a contatto con la fune non era legata ma semplicemente retta da
un anello nella corda piegato a due che si poteva facilmente sfilare. A
questo punto doveva decidere se salire o scendere, perché ancora non
vedeva assolutamente nulla e sarebbe stato propenso a salire, se non
avesse udito in lontananza, ma verso il basso, degli strani rumori come
di qualcosa che scivola sulle pietre e poi un urlo di donna. La
decisione il fato l’aveva presa per lui, per cui, sfilata la mano
dall’anello, si mise a scivolare lungo la corda. In poco tempo arrivò a
toccare il terreno, e subito si mise a frugarsi nelle vesti per
scoprire se aveva qualcosa per illuminare il luogo. Fu estremamente
contento di ritrovare, nella fascia che gli cingeva la vita, una scatola
di fiammiferi svedesi oltre a delle strane fiale di cui al momento,
data l’amnesia, non ricordava a cosa potessero servire. Accese
immediatamente un fiammifero e scoprì di ritrovarsi in una specie di
cella in pietra da cui partiva un corridoio. Per terra c’erano alcuni
ciottoli e pensò che dovesse essere uno di questi che l’aveva colpito
sulla testa, perché questa gli doleva e toccandosi scoprì anche un
grosso bernoccolo. Se però la pietra era caduta o fosse stata lanciata
da qualcuno, questo non poteva saperlo. La corda saliva in alto per
sparire in una botola semiaperta nel soffitto lontano almeno una decina
di metri. Ragionò che sarebbe potuto salire poi facilmente usando la
corda, ma impellente era scoprire chi aveva gridato e perché. Usando con
parsimonia i fiammiferi, proseguì quindi nel corridoio e fu fortunato a
scoprire a un certo punto, una specie di recipiente in cui erano
accatastate diverse torce pronte all’uso. Sembravano vecchissime, ma il
legno non era umido e una di esse, prontamente accesa, sparse subito una
chiara luce nell’ambiente. L’uomo proseguì ancora, attento a eventuali
pericoli che potessero insorgere, perché dopo tutto la donna doveva aver
gridato per qualcosa. Non si azzardò a chiamare per non rivelare
anticipatamente la sua presenza. Percorse così qualche centinaio di
metri, poi il corridoio si aprì in una rotonda da cui si dipartivano
diversi cunicoli. Accanto ad ognuno di essi c’era una statua rozzamente
scolpita ma con delle caratteristiche fisiche piuttosto evidenti…ne
contò dieci di quelle sculture, e anche se lui non era un indiano, la
sua cultura gli permise di riconoscere che rappresentavano i Mahavidya cioè i dieci aspetti di Adi Parashakti , tutte forme della dea Parvati. Si soffermò particolarmente davanti alla statua di Kali,
perché vaghi ricordi affiorarono nella sua mente. Gli pareva di aver
combattuto a lungo contro gli adepti di quella sanguinaria dea. Ma la
cosa impellente era uscire da quei sotterranei e trovare chi aveva
gridato. Qui c’era l’imbarazzo della scelta, e pertanto in mancanza di
altre indicazioni, decise di agire metodicamente. Con una pietra
contrassegnò il cunicolo da cui era venuto per facilmente ritrovarlo,
poi prese il primo che si apriva a sinistra, quello che aveva accanto la
statua della dea Tara. Proseguì per qualche decina di
metri poi il suo sesto senso, che senz’altro doveva essere molto
sviluppato, lo avvertì che qualcosa non andava. Le sue narici iniziarono
a sentire un certo odore, che gli ricordava qualcosa da lui avvertito,
non sapeva dove, ma sicuramente in un ambiente sotterraneo, molto simile
a quello dove era ora. Poi, proseguendo, il fetore divenne quasi
insopportabile, ma lui si sforzò di proseguire ancora per un po’.
Dovette però dopo poco soffermarsi perché un abisso senza fondo si aprì
davanti a lui e da quel luogo veniva la puzza che ammorbava l’aria. La
profondità del pozzo doveva essere enorme, perché un sasso gettatovi
dentro tardò molti secondi prima di restituire il rumore che fece
cadendo sul fondo. Sembrava però che quest’apertura fosse recente,
perché c’erano dei residui di muraglie ai margini della voragine. Era
come se qualche forza ignota avesse spaccato l’apertura del pozzo e
qualcosa ne fosse uscito, perché si vedevano dei graffi che dovevano
essere recentissimi, in quanto la terra sottostante era chiara e non
scurita dal tempo…
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata dal fatto che in questi ultimi anni diverse
case editrici hanno pubblicato i miei racconti. Ho pensato di
raccoglierli insieme creando un’antologia, per soddisfare alcuni amici
che mi avevano fatto richieste in tal senso e spinto dal fatto che le
storie sono tutte di tipo avventuroso/fantastico, dunque la raccolta
sarebbe risultata omogenea.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile riunire i racconti, ma questi, al tempo della
prima edizione in varie antologie, a volte mi hanno creato problemi in
quanto dovevo soddisfare richieste precise dell’editore. Per questo
prima di ogni racconto ho scritto una breve introduzione per narrarne la
genesi.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono principalmente tre, ma molti spunti
li traggo anche dai loro imitatori: Emilio Salgari in primis, che mi ha
accompagnato nella mia infanzia, poi Edgar Rice Burroughs, creatore tra
l’altro di Tarzan e Robert Howard il cui personaggio più conosciuto è
Conan il barbaro. Di essi possiedo l’intera produzione e una sterminata
serie di apocrifi, libri scritti da epigoni, sullo stile dei loro
maestri. Ho anche scritto al riguardo e ad esempio di Salgari ho messo
in rete la più completa bibliografia salgariana dei pirati della Malesia
e di quelli delle Antille, tra originali e apocrifi, ordinata non per
ordine di edizione, ma in senso cronologico, secondo le avventure che
capitano ai protagonisti dei cicli.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Salvo un breve periodo a Roma, ho sempre vissuto a Livorno. Amo
moltissimo il mare e non credo potrei vivere bene in una città
dell’entroterra.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
I miei progetti futuri in campo letterario sono di poter scrivere
ancora qualcosa con i personaggi Salgariani. Il libro di cui sopra è il
mio terzo concernente Sandokan. Ho cercato di rinnovare il personaggio e
togliergli quell’aria di vecchiume che può avere per molti. In
“Sandokan nel continente scomparso” c’è una vena fantasy che porta i
nostri nell’antica Lemuria, mentre in “Sandokan nel Nautilus di Nemo” ho
fatto interagire i due massimi eroi di Salgari e Verne per osservare
cosa ne veniva fuori. Un connubio cui molti forse avevano pensato (io ad
esempio è da quando ero piccolo che immaginavo l’incontro) ma che
nessuno finora aveva mai osato compiere. Per il futuro ho quasi
completato un’opera top secret che svincolerà ancor di più il
personaggio dalle pastoie ottocentesche cui è confinato.
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