Ecco qua il testo del mio racconto vincitore del premio a "Ioracconto 2013". Poichè era la prima volta che partecipavo ad un premio Letterario posso ritenermi soddisfatto!
-------Come
le volte precedenti, Krane si avvicinò guardingo alla piramide; era
già scampato ad una morte terribile nei sotterranei della
costruzione e non voleva correr rischi, ma in lui la curiosità di
scoprire cosa aveva fatto impazzire il marabutto era grande,
superiore di molto ad ogni invito alla prudenza suggeritogli dalle
esperienze passate. La costruzione era esattamente come la ricordava
dalle precedenti visite, piccola tozza, senza la cima che forse non
c'era mai stata, semisepolta dalla vegetazione nella piccola oasi di
Al Khafras, nel mezzo del terribile deserto tunisino del Chott el
Jerid. Si diresse dunque ancora una volta a quella che considerava la
parte posteriore della piramide. Non che la costruzione n’avesse
una, ma lui si era abituato a considerare come anteriore quella
rivolta verso il piccolo laghetto dell'oasi, dove alla base c’erano
quelle strane nicchie alte due o tre metri e larghe un paio. Lì
aveva trovato incisi nella pietra strani disegni, opera senza dubbio
dei garamanti, un misterioso popolo che abitava il Sahara tra il 500
a.c. e il 500 d.c. e proprio studiando una di quelle incisioni, era
caduto in una trappola da cui era riuscito a malapena a sfuggire.
Controllò quindi ancora una volta il funzionamento della Colt che
gli pendeva al fianco, si accertò che il tamburo girasse bene, poi
si avvicinò alla parete inclinata della piramide. Questa, al
contrario delle altre, non aveva incisioni né nicchie, era
perfettamente liscia, ma l'inglese sapeva che se c'era un altro
passaggio segreto, doveva trovarsi lì, perché aveva già esplorato
minuziosamente le altre pareti. Le stanze trovate in precedenza erano
situate alla base della piramide ed era logico aspettarsene una anche
lì, ma se non fosse stato così su questo lato? Per la prima volta
si mise ad osservare con attenzione la parte alta della piramide a
partire dai due metri d’altezza fino alla sommità spuntata. Come
già detto la costruzione era piccola e gli ci volle poco a notare
qualcosa che forse era fuori posto: un'escrescenza, un bozzo, come
una pietra mal formata corrosa dalle intemperie che delineava una
sporgenza, ad un'altezza di sei o sette metri. Questo però era in
contrasto con la cura con cui i garamanti costruivano i loro
manufatti. Non c'era modo di arrivare a quel punto se non con una
scala. Krane allora si girò verso il boschetto che circondava la
piramide e individuata una piccola palma, con diversi colpi di
yatagan la tagliò alla base e usando la sua forza non indifferente,
la portò alla parete della piramide e ce la appoggiò. Per non
essere impedito nella salita si liberò quindi del barracano arabo
che indossava e rimase con gli abiti che vestiva abitualmente,
pantaloni alla cavallerizza, con banda laterale ed una camicia bianca
di flanella che portava ricamata sul petto l'effige di un leopardo e
che ricordava il nome con cui era conosciuto in quella parte del
mondo, le Léopard. Si arrampicò con attenzione per non sbilanciare
la palma e, appoggiandosi anche alle pareti della costruzione, arrivò
in breve al punto che aveva notato. Sulle prime fu deluso, in quanto
la sporgenza faceva parte integrante della grossa pietra che era
parte del muro, non era quindi una possibile leva che azionata
potesse provocare l'apertura di qualche vano. Guardando meglio però,
sopra la sporgenza, notò un’incisione semicancellata dalla sabbia
e dalle intemperie, lasciata senza dubbio dai garamanti. L’effige
raffigurava un piccolo occhio, simile a quello più grande che aveva
trovato dalla parte opposta della piramide, quando era caduto nella
trappola. Questo però aveva una pupilla in senso verticale, molto
scavata nella pietra. Krane fu colto da un'ispirazione. Soffiò con
forza sul punto per togliere molta della sabbia che vi si era
accumulata, poi trasse dalla cintola un lungo pugnale e provò ad
infilarlo nella pupilla. Dapprima l'arma penetrò solo per pochi
centimetri, l'uomo, però, incoraggiato dal parziale successo,
continuò a premere con forza sull’impugnatura del coltello e poco
dopo udì uno scatto e vide spostarsi, come per magia una grossa
pietra adiacente a quella su cui faceva pressione. Lasciando il
coltello senza più premerlo, si avvide però che la pietra tornava
nella posizione originaria e così la lama riusciva pian piano dalla
fenditura. Capì che il meccanismo dall'altra parte si fondava su un
principio di leve semplice ma efficace che sfruttava con dei
contrappesi la forza di gravità e costringeva i due oggetti a
tornare nella posizione originaria. Esercitò dunque ancora più
pressione e riuscì ad incastrare il pugnale nella fenditura della
pupilla nel punto dove la lama s’ispessiva vicino al manico. Di lì
a poco, senza pensarci due volte, s’infilò nella stretta
fenditura. Il varco era piccolo e gli consentiva a malapena di
procedere nello stretto tunnel, strisciando, ma dopo poco si aprì in
una piccola stanza. Krane poté alzarsi e dare un'occhiata
all'ambiente. La luce del sole che penetrava da quel condotto
rettilineo, era poca ma sufficiente a vederci anche se la luce
soffusa dava un senso d’irrealtà. L'uomo si avvide subito che la
stanza era completamente vuota, fatta eccezione per un manufatto
all'angolo; si avvicinò all'oggetto che aveva intravisto e capì
subito cos'era, una cassa o meglio un sarcofago scoperchiato che
probabilmente giaceva lì sin da quando era stata costruita la
piramide, poiché di dimensioni enormemente maggiori a quelle del
tunnel che aveva percorso. L'egittologia aveva compiuto solo i primi
passi in quell'anno 1860, ma Krane conosceva gli studi compiuti dalla
spedizione Napoleonica nel 1798 e quelli successivi degli italiani
Belzoni e Rosellini, fu quindi con un misto di curiosità e di
religiosa titubanza che si approssimò al manufatto. Gli venne in
mente l'etimologia della parola sarcofago, quello che si nutre di
carne, e non c'erano parole più adatte, anche se macabre, per
definire quella cosa. L'oggetto cui l'inglese si avvicinò, però,
non si poteva dire se avesse ospitato dentro di se un cadavere. Di
basalto scuro, senza coperchio, era in sostanza una cassa, che poteva
contenere un uomo di dimensioni più piccole di Krane che era molto
alto. L'inglese vide immediatamente che l'oggetto era vuoto, dentro
c'era solo un leggero strato di sabbia finissima. Ma da dove veniva
se la stanza era chiusa ermeticamente? Poi scoperse qualcosa: un
ninnolo di nessun valore fatto con piccole conchiglie. Ricordava di
averne visti di simili appesi ad una collana al collo del marabutto
ed ebbe così la conferma che l'uomo era stato lì e forse aveva
anche dormito dentro il sarcofago. Raccolse poi un po' di quella
strana sabbia dorata, per osservarla meglio. Era finissima, talmente
fine che gli scivolò in parte dalle mani e ricadendo nel sarcofago
creò una specie di bagliore dorato. Non sappiamo se fu la sabbia ad
aver agito in qualche modo sul subcosciente dell'inglese, forse fu
quella, forse qualcosa che aveva inspirato, oppure semplicemente una
suggestione provocata dall'arcano ambiente, fatto sta che strane
visioni si formarono nel cervello di Krane. In pochi attimi, ma che a
lui sembrarono lunghi come ore, vide la nascita dell'Universo, con
strani bolidi che emergevano da qualcosa che non seppe individuare e
che non erano tutti sferici, e poi subito dopo, scene di battaglie,
battaglie a non finire. Riconobbe gli eserciti d’Alessandro alla
conquista dell'India, legioni romane attaccate sotto il vallo
d’Adriano, templari sgozzati dopo la battaglia di Hattin, il crollo
della torre Maledetta. Vide questo e molto altro. Come sapeva e
poteva riconoscere le cose che la sua mente vedeva? Lo ignorava, ma
qualcuno o qualcosa gliele suggeriva, come se lui fosse stato
presente ad ogni avvenimento. Ed ancora fu presente al rogo dei
perfetti a Montsegur e a quello di Giovanna d'Arco, anche se in
questo caso non poté vedere bene in volto la pulzella che bruciava.
E sempre in quelle visioni osservava simboli religiosi, molte croci
sicuramente, ma ebbe anche visioni della Kaaba alla Mecca in mezzo a
migliaia di moltitudini oranti e una dea sanguinaria indiana con
molte braccia ed una collana di teschi... Poi le allucinazioni
cessarono e Krane fu preso dal fortissimo desiderio di sdraiarsi in
quel sarcofago e continuare a godere delle visioni magiche che gli
erano apparse. Stava per infilarcisi, ma la sua cultura e forza
d'animo fecero affiorare alla mente un ricordo, questa volta non
indottogli in maniera arcana, ma una vera rimembranza. Parlando con
degli ufficiali francesi a Tunisi aveva saputo che Napoleone
Bonaparte si era fatto chiudere nella piramide di Cheope per una
notte e molto probabilmente aveva dormito nel sarcofago che là vi si
trovava. Si dice che la mattina dopo uscì dalla piramide sconvolto.
Questo episodio gli ricordò che il marabutto, nella stanza dove lui
era ora, era impazzito. Krane era un uomo forte, l'unico che era
sopravvissuto all'assedio di Bab el Kebir, e forse sarebbe uscito
indenne dalla prova, se si attardava ancora lì, ma ci pensò un
attimo, poi la sua mente si distolse dalle visioni di morte che aveva
intravisto, pensò a Jasmine che lo aspettava e alla vita che poteva
essere bella in parte, anche se breve e fugace. Si risolse di uscire
rimandando ad un'altra volta l'esperienza, ma, come un naufrago getta
una bottiglia col messaggio nell'acqua, lanciò un pensiero nel
futuro, sperando che qualcuno affine a lui mentalmente, lo
raccogliesse e condividesse le sue esperienze, nel caso che lui non
avesse per qualche ragione potuto divulgarle.
Ed
il messaggio fu raccolto! Nel 2013 un uomo ormai non più giovane,
mentre di notte ricordava eventi della sua vita passata, di ciò che
sarebbe potuto essere e non era stato, raccolse il messaggio della
visione di John Krane, accese la luce e cominciò a scrivere...---------
Nella foto in alto: il sarcofago che si trova della piramide di Cheope, che viene anche menzionato nel mio racconto e una foto della premiazione.Chi mi conosce può riconoscermi!
FABRIZIO FROSALI
Ecco qua il testo del mio racconto vincitore del premio a "Ioracconto 2013". Poichè era la prima volta che partecipavo ad un premio Letterario posso ritenermi soddisfatto!
-------Come
le volte precedenti, Krane si avvicinò guardingo alla piramide; era
già scampato ad una morte terribile nei sotterranei della
costruzione e non voleva correr rischi, ma in lui la curiosità di
scoprire cosa aveva fatto impazzire il marabutto era grande,
superiore di molto ad ogni invito alla prudenza suggeritogli dalle
esperienze passate. La costruzione era esattamente come la ricordava
dalle precedenti visite, piccola tozza, senza la cima che forse non
c'era mai stata, semisepolta dalla vegetazione nella piccola oasi di
Al Khafras, nel mezzo del terribile deserto tunisino del Chott el
Jerid. Si diresse dunque ancora una volta a quella che considerava la
parte posteriore della piramide. Non che la costruzione n’avesse
una, ma lui si era abituato a considerare come anteriore quella
rivolta verso il piccolo laghetto dell'oasi, dove alla base c’erano
quelle strane nicchie alte due o tre metri e larghe un paio. Lì
aveva trovato incisi nella pietra strani disegni, opera senza dubbio
dei garamanti, un misterioso popolo che abitava il Sahara tra il 500
a.c. e il 500 d.c. e proprio studiando una di quelle incisioni, era
caduto in una trappola da cui era riuscito a malapena a sfuggire.
Controllò quindi ancora una volta il funzionamento della Colt che
gli pendeva al fianco, si accertò che il tamburo girasse bene, poi
si avvicinò alla parete inclinata della piramide. Questa, al
contrario delle altre, non aveva incisioni né nicchie, era
perfettamente liscia, ma l'inglese sapeva che se c'era un altro
passaggio segreto, doveva trovarsi lì, perché aveva già esplorato
minuziosamente le altre pareti. Le stanze trovate in precedenza erano
situate alla base della piramide ed era logico aspettarsene una anche
lì, ma se non fosse stato così su questo lato? Per la prima volta
si mise ad osservare con attenzione la parte alta della piramide a
partire dai due metri d’altezza fino alla sommità spuntata. Come
già detto la costruzione era piccola e gli ci volle poco a notare
qualcosa che forse era fuori posto: un'escrescenza, un bozzo, come
una pietra mal formata corrosa dalle intemperie che delineava una
sporgenza, ad un'altezza di sei o sette metri. Questo però era in
contrasto con la cura con cui i garamanti costruivano i loro
manufatti. Non c'era modo di arrivare a quel punto se non con una
scala. Krane allora si girò verso il boschetto che circondava la
piramide e individuata una piccola palma, con diversi colpi di
yatagan la tagliò alla base e usando la sua forza non indifferente,
la portò alla parete della piramide e ce la appoggiò. Per non
essere impedito nella salita si liberò quindi del barracano arabo
che indossava e rimase con gli abiti che vestiva abitualmente,
pantaloni alla cavallerizza, con banda laterale ed una camicia bianca
di flanella che portava ricamata sul petto l'effige di un leopardo e
che ricordava il nome con cui era conosciuto in quella parte del
mondo, le Léopard. Si arrampicò con attenzione per non sbilanciare
la palma e, appoggiandosi anche alle pareti della costruzione, arrivò
in breve al punto che aveva notato. Sulle prime fu deluso, in quanto
la sporgenza faceva parte integrante della grossa pietra che era
parte del muro, non era quindi una possibile leva che azionata
potesse provocare l'apertura di qualche vano. Guardando meglio però,
sopra la sporgenza, notò un’incisione semicancellata dalla sabbia
e dalle intemperie, lasciata senza dubbio dai garamanti. L’effige
raffigurava un piccolo occhio, simile a quello più grande che aveva
trovato dalla parte opposta della piramide, quando era caduto nella
trappola. Questo però aveva una pupilla in senso verticale, molto
scavata nella pietra. Krane fu colto da un'ispirazione. Soffiò con
forza sul punto per togliere molta della sabbia che vi si era
accumulata, poi trasse dalla cintola un lungo pugnale e provò ad
infilarlo nella pupilla. Dapprima l'arma penetrò solo per pochi
centimetri, l'uomo, però, incoraggiato dal parziale successo,
continuò a premere con forza sull’impugnatura del coltello e poco
dopo udì uno scatto e vide spostarsi, come per magia una grossa
pietra adiacente a quella su cui faceva pressione. Lasciando il
coltello senza più premerlo, si avvide però che la pietra tornava
nella posizione originaria e così la lama riusciva pian piano dalla
fenditura. Capì che il meccanismo dall'altra parte si fondava su un
principio di leve semplice ma efficace che sfruttava con dei
contrappesi la forza di gravità e costringeva i due oggetti a
tornare nella posizione originaria. Esercitò dunque ancora più
pressione e riuscì ad incastrare il pugnale nella fenditura della
pupilla nel punto dove la lama s’ispessiva vicino al manico. Di lì
a poco, senza pensarci due volte, s’infilò nella stretta
fenditura. Il varco era piccolo e gli consentiva a malapena di
procedere nello stretto tunnel, strisciando, ma dopo poco si aprì in
una piccola stanza. Krane poté alzarsi e dare un'occhiata
all'ambiente. La luce del sole che penetrava da quel condotto
rettilineo, era poca ma sufficiente a vederci anche se la luce
soffusa dava un senso d’irrealtà. L'uomo si avvide subito che la
stanza era completamente vuota, fatta eccezione per un manufatto
all'angolo; si avvicinò all'oggetto che aveva intravisto e capì
subito cos'era, una cassa o meglio un sarcofago scoperchiato che
probabilmente giaceva lì sin da quando era stata costruita la
piramide, poiché di dimensioni enormemente maggiori a quelle del
tunnel che aveva percorso. L'egittologia aveva compiuto solo i primi
passi in quell'anno 1860, ma Krane conosceva gli studi compiuti dalla
spedizione Napoleonica nel 1798 e quelli successivi degli italiani
Belzoni e Rosellini, fu quindi con un misto di curiosità e di
religiosa titubanza che si approssimò al manufatto. Gli venne in
mente l'etimologia della parola sarcofago, quello che si nutre di
carne, e non c'erano parole più adatte, anche se macabre, per
definire quella cosa. L'oggetto cui l'inglese si avvicinò, però,
non si poteva dire se avesse ospitato dentro di se un cadavere. Di
basalto scuro, senza coperchio, era in sostanza una cassa, che poteva
contenere un uomo di dimensioni più piccole di Krane che era molto
alto. L'inglese vide immediatamente che l'oggetto era vuoto, dentro
c'era solo un leggero strato di sabbia finissima. Ma da dove veniva
se la stanza era chiusa ermeticamente? Poi scoperse qualcosa: un
ninnolo di nessun valore fatto con piccole conchiglie. Ricordava di
averne visti di simili appesi ad una collana al collo del marabutto
ed ebbe così la conferma che l'uomo era stato lì e forse aveva
anche dormito dentro il sarcofago. Raccolse poi un po' di quella
strana sabbia dorata, per osservarla meglio. Era finissima, talmente
fine che gli scivolò in parte dalle mani e ricadendo nel sarcofago
creò una specie di bagliore dorato. Non sappiamo se fu la sabbia ad
aver agito in qualche modo sul subcosciente dell'inglese, forse fu
quella, forse qualcosa che aveva inspirato, oppure semplicemente una
suggestione provocata dall'arcano ambiente, fatto sta che strane
visioni si formarono nel cervello di Krane. In pochi attimi, ma che a
lui sembrarono lunghi come ore, vide la nascita dell'Universo, con
strani bolidi che emergevano da qualcosa che non seppe individuare e
che non erano tutti sferici, e poi subito dopo, scene di battaglie,
battaglie a non finire. Riconobbe gli eserciti d’Alessandro alla
conquista dell'India, legioni romane attaccate sotto il vallo
d’Adriano, templari sgozzati dopo la battaglia di Hattin, il crollo
della torre Maledetta. Vide questo e molto altro. Come sapeva e
poteva riconoscere le cose che la sua mente vedeva? Lo ignorava, ma
qualcuno o qualcosa gliele suggeriva, come se lui fosse stato
presente ad ogni avvenimento. Ed ancora fu presente al rogo dei
perfetti a Montsegur e a quello di Giovanna d'Arco, anche se in
questo caso non poté vedere bene in volto la pulzella che bruciava.
E sempre in quelle visioni osservava simboli religiosi, molte croci
sicuramente, ma ebbe anche visioni della Kaaba alla Mecca in mezzo a
migliaia di moltitudini oranti e una dea sanguinaria indiana con
molte braccia ed una collana di teschi... Poi le allucinazioni
cessarono e Krane fu preso dal fortissimo desiderio di sdraiarsi in
quel sarcofago e continuare a godere delle visioni magiche che gli
erano apparse. Stava per infilarcisi, ma la sua cultura e forza
d'animo fecero affiorare alla mente un ricordo, questa volta non
indottogli in maniera arcana, ma una vera rimembranza. Parlando con
degli ufficiali francesi a Tunisi aveva saputo che Napoleone
Bonaparte si era fatto chiudere nella piramide di Cheope per una
notte e molto probabilmente aveva dormito nel sarcofago che là vi si
trovava. Si dice che la mattina dopo uscì dalla piramide sconvolto.
Questo episodio gli ricordò che il marabutto, nella stanza dove lui
era ora, era impazzito. Krane era un uomo forte, l'unico che era
sopravvissuto all'assedio di Bab el Kebir, e forse sarebbe uscito
indenne dalla prova, se si attardava ancora lì, ma ci pensò un
attimo, poi la sua mente si distolse dalle visioni di morte che aveva
intravisto, pensò a Jasmine che lo aspettava e alla vita che poteva
essere bella in parte, anche se breve e fugace. Si risolse di uscire
rimandando ad un'altra volta l'esperienza, ma, come un naufrago getta
una bottiglia col messaggio nell'acqua, lanciò un pensiero nel
futuro, sperando che qualcuno affine a lui mentalmente, lo
raccogliesse e condividesse le sue esperienze, nel caso che lui non
avesse per qualche ragione potuto divulgarle.
Ed
il messaggio fu raccolto! Nel 2013 un uomo ormai non più giovane,
mentre di notte ricordava eventi della sua vita passata, di ciò che
sarebbe potuto essere e non era stato, raccolse il messaggio della
visione di John Krane, accese la luce e cominciò a scrivere...---------
Nella foto in alto: il sarcofago che si trova della piramide di Cheope, che viene anche menzionato nel mio racconto e una foto della premiazione.Chi mi conosce può riconoscermi!
FABRIZIO FROSALI